Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 21 giugno 2005, n. 3245
FATTO
Il Ministero dell'interno, con il presente appello, impugna
la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale
amministrativo regionale del Veneto ha accolto un ricorso
presentato dagli attuali appellati avverso un provvedimento
emesso dalla Questura di Verona, e concernente la irrogazione
di una misura amministrativa di divieto di accesso ad impianti
sportivi (relativamente a manifestazione della disciplina
del calcio) per anni uno.
L'accoglimento era stato determinato dalla considerazione
che gli appellati, ricorrenti in primo grado, non essendo
stati né condannati né denunciati per aver preso
parte attiva ad operazioni di violenza, non potevano essere
irrogatari della misura preventiva, non rientrando la vicenda
nella fattispecie prevista nell'art. 6, comma 1, della l.
13 dicembre 1989, n. 401.
Avverso la suddetta sentenza si grava l'appellante Ministero,
rilevando come l'interpretazione data dal giudice di primo
grado dell'art. 6, comma 1, della l. n. 401 del 1989 sia errata,
in quanto, relativamente alla partecipazione attiva ad episodi
di violenza in occasione o a causa di manifestazioni sportive
(come contestato agli appellati) non è prevista affatto
la condanna o la denuncia, anche in considerazione del fatto
che la norma in parola non tende tanto a punire comportamenti
violenti, quanto soprattutto a prevenirli.
Gli appellati si costituiscono in giudizio e resistono all'appello,
chiedendone la reiezione e controdeducendo ampiamente, anche
con notevoli richiami di giurisprudenza, alla tesi avversaria.
La causa passa in decisione alla pubblica udienza dell'8
marzo 2005.
DIRITTO
L'appello è evidentemente infondato.
La norma, sulla base della quale il Questore di Verona ha
provveduto ad irrogare agli appellati la misura restrittiva
di carattere amministrativo (art. 6, comma 1, l. 13 dicembre
1989, n. 401), infatti, pur nella sua non estremamente lineare
tecnica espositiva, sembra al Collegio chiarissima, così
come peraltro argomentato dal giudice di primo grado, nel
determinare i presupposti per l'irrogazione della sanzione
nella condanna e, quanto meno, nella denuncia per i reati
ivi espressamente indicati.
Ed invero la norma, depurata degli incisi relativi ai richiami
normativi, manifesta senza dubbio la significazione prima
evidenziata, disponendo:
"Nei confronti delle persone che risultano denunciate
o condannate anche con sentenza non definitiva nel corso degli
ultimi cinque anni... ovvero per aver preso parte attiva ad
episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa
di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze
abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza, il questore
può disporre il divieto di accesso ai luoghi in cui
si svolgono manifestazioni sportive specificamente indicate,
nonché a quelli, specificamente indicati, interessati
alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano
o assistono alle manifestazioni medesime".
Come si vede, anche per la fattispecie relativa alla partecipazione
ad episodi di violenza ovvero all'incitamento, inneggiamento
e induzione alla violenza (ipotesi riferita agli appellati),
occorre necessariamente che i soggetti, dopo l'identificazione
(che, peraltro, nella specie non è spiegato come sia
avvenuta essendo i manifestanti parzialmente travisati), avrebbero
dovuto essere denunciati all'Autorità giudiziaria per
una delle fattispecie indicate nell'art. 6, comma 1, di cui
prima si è detto, mentre il non averlo fatto determina
sicuramente violazione e falsa applicazione della norma medesima.
Né ha rilevanza quanto indicato nell'atto introduttivo
dell'appello, in ordine alla considerazione che la sanzione
di cui all'art. 6, comma 1, prima richiamata mirasse soprattutto
alla prevenzione, in quanto la misura interdittiva prevista
dalla norma stessa (al di là del fatto che ogni sanzione
ha sempre un contenuto preventivo - la cosiddetta coazione
psicologica - nei confronti degli altri soggetti), insieme
con la componente meramente affittiva, manifesta altresì
una sua valenza preventiva anche nel caso considerato nella
sentenza di primo grado e riconfermata in questa sede della
necessità di una condanna (anche solo di primo grado)
o di una denuncia.
D'altro canto non si comprenderebbe perché soggetti
che abbiano preso parte attiva ad episodi di violenze su cose
o persone, ovvero abbiano incitato o indotto alla violenza,
ipotesi tutte che concretano fattispecie criminose, e che
siano stati identificati, altrimenti non potrebbero essere
destinatari delle misure in esame, non avrebbero dovuto essere
denunziati.
Il che val dire che la condanna o la denuncia, individuati
quali presupposti, non sono affatto di ostacolo a far coincidere
le due misure - repressiva e preventiva - nella norma stessa.
L'appello va, pertanto, respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in complessivi
Euro 3.000,00 (tremila).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), definitivamente
pronunciando sull'appello in epigrafe, lo rigetta.
Condanna l'Amministrazione appellante al pagamento delle
spese di giudizio, liquidate come in motivazione.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità
amministrativa.
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