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L’evasione dell'IVA nella triangolazione commerciale con l'estero

Uno degli accorgimenti contenuti nella Manovra Finanziaria per l’anno 2005 ed approvata recentemente, finalizzato al recupero di quel gettito tributario da decenni eroso da una sistematica evasione fiscale, è quello di contrastare con maggiore efficacia l’evasione all’Imposta sul Valore Aggiunto nelle triangolazioni commerciali con l’estero.

E’ un progetto tanto condiviso quanto ambizioso, se non addirittura velleitario, in assenza di una necessaria ed urgente “Armonizzazione fiscale” fra i Paesi dell’Unione Europea.

L’evasione fiscale di cui parliamo, peraltro ingentissima e particolarmente facile da realizzare, è determinata, ovvero ruota sul basilare concetto del momento di applicazione dell’imposta, che va contabilizzata nel Paese di destinazione della merce ed in cui la stessa verrà immessa in consumo e non in quello di provenienza.

Ad oggi, l’imprenditore al dettaglio di un articolo particolarmente richiesto dal mercato – immaginiamo il settore dell’informatica, della comunicazione ma, secondo le inchieste giudiziarie più recenti, anche del settore dell’abbigliamento e dell’alimentare – importa la merce necessaria all’esercizio della propria attività commerciale per il tramite di altro soggetto economico, definito “grossista”.
Quest’ultimo, pur senza avere alcuna organizzazione logistico imprenditoriale (strutture commerciali, dipendenti, attrezzature strumentali etc.), bensì titolare della sola partita IVA, importa la merce dall’Olanda, ovvero da qualsiasi altro Paese comunitario e non, con destinatario finale direttamente verso il piccolo imprenditore nazionale al dettaglio (che, nel giro di qualche anno centuplica il proprio fatturato), verso il quale emette regolare fattura comprensiva dell’IVA al 20%.

In apparenza sembra una normale operazione commerciale, alla quale partecipano minimo tre soggetti:

1. l’imprenditore nazionale (grossista), acquista la merce sul mercato estero e, a sua volta, la rivende in Italia con uno sconto di circa il 20% sul prezzo di acquisto (vendita sottocosto). La sua azienda è composta solo da una utenza telefonica e da un bollettario a madre e figlia delle fatture emesse; lo stesso infatti, non istituisce la contabilità obbligatoria ai fini IVA ed Imposte dirette, ovvero non presenta alcuna Dichiarazione fiscale. Nella generalità dei casi, risulta nullatenente ed amministratore unico di alcune Società di capitali (a socio unico) che, nel giro di un semestre vengono poste in liquidazione volontaria, avviando subito altre iniziative analoghe;
2. l’azienda estera, che, al saldo della fornitura effettuata, emette fattura – senza IVA – nei confronti del “grossista nazionale”;
3. l’imprenditore al dettaglio, vero deus ex machina dell’intera operazione commerciale, ovvero l’unico veramente interessato all’importazione della merce dai mercati esteri, mai direttamente, bensì per il tramite della “testa di legno” all’uopo inventata spesso per approvigionare più operatori economici al dettaglio.

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Facciamo un esempio pratico. Il soggetto “grossista” (di cui al punto 1), acquista il Personal Computer al prezzo di un Euro, rivendendo lo stesso PC al prezzo di 85 centesimi di Euro che, con l’aggiunta del 20% dell’IVA, fatturerà l’importo finale di 1,05 (1 Euro e 5 centesimi).


Trattandosi di un evasore totale, il medesimo, omette il versamento dell’IVA, trattenendo come utile gli spiccioli.

Ricordo una concreta esperienza di servizio da me condotta nell’ambito di accertamenti della Guardia di Finanza, ove venne individuato un soggetto che, pur senza alcuna esperienza imprenditoriale (si pensi che vendeva bibite fresche custodite all’interno di una bagnarola in occasione di eventi sportivi presso lo Stadio San Nicola di Bari) e, nel giro di due anni, riuscì a “fatturare” oltre 700 miliardi delle vecchie lire nel commercio all’ingrosso di “componentistica ed attrezzature informatiche”, nella veste di Amministratore Unico di alcune Società a Responsabilità Limitata.

Nel corso della stessa indagine, uno degli imprenditori ascoltati, in modo informale ebbe a riferirmi: “Comandante, la vuole sapere tutta.. il problema non è solo nazionale, bensì comunitario. Pensi che l’altro giorno, un mio collega spagnolo, telefonicamente, mi ha detto <<BEATI VOI CHE AVETE L’IVA AL 20%, PERCHE’ DA NOI, PURTROPPO, E’ SOLO AL 16%>>”.

Quale può essere il rimedio per fronteggiare efficacemente le tante “Associazioni a delinquere” appositamente nate per evadere l’Imposta sul Valore Aggiunto?

A mio avviso, le strade sono due. O ridurre drasticamente la percentuale dell’imposta, magari dimezzandola, operazione questa da farsi ovviamente in ambito comunitario, oppure, in alternativa, far corrispondere la stessa IVA all’atto dell’acquisto della merce, nello stesso Paese di provenienza.

In altri termini, con una Comunione Europea a regime, comprare nei Paesi Bassi sarà perfettamente identico dal comprare a Roma e/o Milano, o da qualunque altra località nazionale.

Armonizzare, significherà esattamente questo. Diversamente, sarà come combattere contro i mulini a vento, così come abbiamo abbondantemente sperimentato nel campo dell’IVA ma, rincresce sottolinearlo, anche nel campo del contrasto alla evasione fiscale in genere ove, gli unici appuntamenti attesi dal contribuente non sono quelli connessi alla Dichiarazione fiscale e versamento dell’imposta, bensì unicamente quelli del prossimo condono tributario.

(1) L’EVASIONE DELL’IVA NELLA TRIANGOLAZIONE COMMERCIALE CON L’ESTERO

(2) 386. Al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, dopo l’articolo 60, è inserito il seguente:
«Art. 60-bis – (Solidarietà nel pagamento dell’imposta). – 1. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, su proposta degli organi competenti al controllo, sulla base di analisi effettuate su fenomeni di frode, sono individuati i beni per i quali operano le disposizioni dei commi 2 e 3.
2. In caso di mancato versamento dell’imposta da parte del cedente relativa a cessioni effettuate a prezzi inferiori al valore normale, il cessionario, soggetto agli adempimenti ai fini del presente decreto, è obbligato solidalmente al pagamento della predetta imposta.
3. L’obbligato solidale di cui al comma 2 può tuttavia documentalmente dimostrare che il prezzo inferiore dei beni è stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili o sulla base di specifiche disposizioni di legge e che comunque non è connesso con il mancato pagamento dell’imposta».
(3) 381. All’articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17, è aggiunto il seguente periodo: «Nella prima ipotesi, il cedente o prestatore deve comunicare all’Agenzia delle entrate, esclusivamente per via telematica entro il giorno 16 del mese successivo, i dati contenuti nella dichiarazione ricevuta».

Bari, 03 ottobre 2004

Si ringrazia Giovanni Falcone per la collaborazione.

giovannifalcone@excite.it

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