La libertà e l’innocenza…..
Voglio raccontare un aneddoto, da me appreso attraverso la
vicinanza di un carissimo amico calabrese (1) il quale, circa
dieci anni or sono, pubblicò un libro intitolato: “Gioia
Tauro – Il teatro dell’assurdo”, con questa
allocuzione introduttiva <<COMU TANT’ALTUS EST
BOBIS QUIBUS CACABUS TRABUSOBUS>>.
Questo libro, oltre ad avere una sua indiscussa originalità,
aveva un contenuto di satira che al di là dell’apparente
provocazione, si prefiggeva lo scopo di far conoscere che,
anche nel lontano passato, la Giustizia, a volte, ha dato
spunto per legittimi risentimenti.
In tal senso, riporto testuale il contenuto della “Premessa”
caratterizzante l’allocuzione latina.
PREMESSA
Massaro ‘Ntoni aveva faticato tutta la vita per mantenere
agli studi quel figlio del quale andava tanto orgoglioso.
Il giovane, per parte sua, non lo aveva certo deluso: laurea
col massimo dei voti, concorso vittorioso, quindi l’ingresso
in magistratura. Tutto a passo di carica. Gli anni erano passati
in fretta per il figlio, ma al padre erano sembrati un’eternità.
Così, quel giorno, massaro ‘Ntoni si sentiva
un po’ emozionato. Tornava a casa, cioè nella
masseria, il “Signor Giudice”. Non si sarebbe
trattenuto molto, giusto il tempo di un saluto, aveva fatto
sapere per telefono. Ma il buon uomo era contento lo stesso,
non avrebbe preteso di più; sapeva che il “Signor
Giudice” aveva preso possesso di un ufficio in una Procura
importante e che le sue giornate, ormai, erano scandite da
una serie di impegni ed appuntamenti.
Ed eccolo, finalmente, il figlio magistrato. L’abbraccio
commosso, i ricordi che scorrono veloci, le prospettive d’avvenire.
La tavola è imbandita, perché massaro ‘Ntoni
spera di convincere il “Signor Giudice” a fermarsi
per il pranzo. Ma questo non è possibile. I minuti
passano e gli impegni incombono.
“Sarà per un’altra volta”. Al massimo,
si può fare un giro attorno alla masseria, tanto per
dare un’occhiata. “Quella stalla prima non c’era”.
“L’ho costruita da solo, con materiale raccogliticcio.
Non sarà un’opera d’arte ma è utile”.
Il magistrato alza lo sguardo verso il soffitto. Si accorge
che una delle travi di legno ha un colore diverso dalle altre,
più scuro; anzi a ben guardare, vi è depositata
qualcosa.
Massaro ‘Ntoni sorride: ”una mucca ha fatto i
suoi bisogni vicino alla trave, e vi ha lasciato l’impronta”.
Si aspetta che il figlio prorompa in una sonora risata, cogliendo
l’occasione per un momento di buonumore. Ma quello si
fa improvvisamente serio, assorto, assalito da un dubbio atroce.
Poi rivolto al padre esclama: “Comu tant’altus
est bobis quibus cacabus trabusobus?”. Forse non è
proprio la traduzione letterale, ma all’esterrefatto
genitore sembra di avere sentito pressappoco così.
Che, sempre pressappoco, significa: “Ma comu fici a
vacca u caca supra a na travi così alta?””.
Massaro ‘Ntoni suda freddo. <<Possibile –
si chiede – che non l’abbia nemmeno sfiorato il
pensiero che il “fatto” sia avvenuto prima della
messa in opera della trave, cioè quando questa era
ancora a terra?>> Vorrebbe impartire a quel figlio importante
una sana lezione di elementare saggezza logico-critica contadina,
ma non riesce ad andare oltre un silenzio carico di tristezza
e di preoccupazione.
2
Ora sa che il “Signor Giudice”, nel suo lavoro,
prenderà in considerazione sempre e comunque una sola
ipotesi: la sua. E prova un senso istintivo di solidarietà
con gli inquisiti.
Come faranno costoro a difendersi da una intuizione folgorante
del tipo: ”Comu tant’altus est bobis quibus cacabus
trabusobus?”.
Il problema della Giustizia nel nostro Paese, che tutti viviamo
quasi con rassegnata inquietudine, i cui problemi endemici
ed annosi ci vengono puntualmente ricordati ogni anno in occasione
dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario, ci dovrebbero
indurre a ritenere che, forse, qualcosa andrebbe cambiato.
La satira, spesso, anche partendo da episodi realmente accaduti,
si propone l’obiettivo di sensibilizzare la macchina
giudiziaria per la ricerca del migliore equilibrio, contemperando
la presunzione d’innocenza all’obbligo dell’azione
penale (art. 27 e 112 della Costituzione) e scevro da una
spesso frequente, visibile e tante volte deprecata spettacolarità.
Concludo questo breve ed improvvisato mio ragionamento ricordando
una bellissima frase di Massimilano Robespierre: “La
libertà e l’innocenza non hanno nulla da temere
dalla pubblica indagine, a patto che regni la legge e non
l’uomo”.
L’esigenza o meglio la voglia di notorietà appartiene
sicuramente all’uomo, sia pure un magistrato, meno che
mai alla legge.
Bari 09 agosto 2004
(1)
Gianni BENTIVOGLIO, Dirigente della Regione Calabria.
Si ringrazia Giovanni Falcone per la collaborazione.
giovannifalcone@excite.it
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