Regole & Giustizia di Giovanni
Falcone
L'esercizio dell'azione penale da parte dell'Organo Giudiziario in presenza di una violazione penalmente rilevante, è un fatto naturale, da tutti moralmente condiviso, imposto dalla legge penale e dalla stessa Carta Costituzionale (Art. 112 "Il Pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale").
L'intervento della Magistratura rappresenta l'epilogo naturale di eventi non accettati dalla collettività, perché molto spesso, la violazione delle Regole o della maggior parte di esse, si scontra con la morale comune.
Tutti ricordiamo il favore popolare esploso all'epoca di "Tangentopoli" che caratterizzò l'inizio degli anni '90, poi attenuatasi, fino a spegnersi anche e soprattutto per effetto di una eccessiva spettacolarizzazione.
L'Organo Inquirente, per definizione, non svolge una attività preventiva, in quanto, interviene solo successivamente all'evento criminoso già consumato e, attraverso gli strumenti investigativi consentiti dal vigente Codice di procedura penale, cerca di provare la responsabilità penale degli autori della condotta illecita (riscontri documentali, pedinamenti, appostamenti, sommarie informazioni, interrogatori, perquisizioni, sequestri, intercettazioni telefoniche etc.).
Se ci sono delle Regole violate che la nostra legislazione chiama "precetti" (prescrizioni), l'Autorità Giudiziaria, di concerto con le Forze dell'Ordine è obbligata a intervenire.
La Polizia Giudiziaria (art.55 del C.p.p.), invece, autonomamente, deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercare gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale.
Appare sicuramente ingeneroso e fuorviante della realtà, dire, come spesso mi capita di leggere, che i "Tribunali invadono il campo della politica".
Non è così.
Affermare il contrario è come pretendere una immunità preconcetta, scontata, di appartenenza, quasi divina, del tipo < "Lei non sa chi sono io!!!">.
Di converso, possiamo sicuramente esprimere qualche riserva sull'eccessivo uso, in qualche caso anche disinvolto, dello strumento delle "Intercettazioni telefoniche".
Ancora peggio, da censurare con il massimo vigore e fermezza, la pubblicazione integrale del loro contenuto addirittura durante la fase delle indagini preliminari, ove, in spregio alla presunzione d'innocenza fino a condanna definitiva, l'indagato finisce per subire, di fatto, un processo mediatico in piazza che nessun Paese civile può accettare.
Si leggono "conversazioni private" estranee alle stesse indagini e di alcuna utilità all'accertamento delle responsabilità penali che si intendono perseguire.
E' una situazione intollerabile alla quale bisogna porre rimedio.
Se la prevenzione è insita nelle "Regole" dettate dalla Politica, ben vengano quelle modifiche che possano evitare abusi o illegalità, ma senza stravolgere l'assoluta utilità di uno strumento di indagine quale appunto la "Intercettazione telefonica", il cui principale limite, oggi, è costituito dalla pena edittale prevista per il comportamento illecito sul quale si intende indagare (ex lett.a dell'art.266 del C.p.p.).
Siamo sicuramente d'accordo alle nuove Regole, ma nell'attesa, facciamo in modo che vengano osservate quelle che già esistono.
Bari, 01 settembre 2005
giovannifalcone@excite.it
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