La previsione formulata dai nostri Padri Costituenti di concorrere
alla spesa pubblica in relazione alla propria capacità
contributiva (ex art. 53 Costituzione), è stata, non
solo stracciata nei fatti, ma addirittura vilipesa con assoluta
spavalderia, nella diffusa consapevolezza di un perdonismo
imperante, prima annunciato, subito smentito ed immediatamente
attuato con periodica e ravvicinata attualità (1).
Si è trattato sempre di un “perdono” dettato
da ragioni di necessità, imposto da improrogabili esigenze
di contenimento della spesa pubblica – il cui differenziale
sul PIL è stato peraltro stabilito dalla UE –
se non addirittura da esigenze di cassa corrente, ed immancabilmente
accompagnato dalla promessa che sarebbe stato l’ultimo.
Ancora adesso, a distanza di circa venti anni, mi tremano
le gambe al pensiero di quando ho visto, un nostro compianto
Ministro delle Finanze, annunciare in televisione, della impossibilità
di corrispondere lo stipendio ai dipendenti pubblici per carenze
di liquidità.
L’evasione fiscale nel nostro Paese, secondo le analisi
più accreditate rappresenta un terzo della ricchezza
nazionale prodotta, determinata, da un lato da una economia
sommersa e dall’altra dalla obiettiva ed accertata incapacità
dello Stato di perseguirla.
Per arginare questo gravissimo fenomeno di pubblico malcostume,
sono stati effettuati numerosi tentativi, a volte minacciosi,
altri bonari, tutti finiti nel nulla, anzi peggio, allorquando,
lo Stato e, oso affermare, tutti noi, abbiamo sempre seguito
la strada dei “questuanti”.
Dopo la Riforma Tributaria del 1973, si è passati
alla legge “Manette agli evasori” del 1982, per
arrivare all’abolizione del famigerato “Segreto
bancario” negli accertamenti fiscali del 1991, giungendo
infine, alla legislazione ultima del marzo 2000, che ha addirittura
reso l’evasione fiscale reato presupposto ai fini del
Riciclaggio di denaro sporco, equiparandone la condotta criminosa
come fatto di elevato allarme sociale, alla stregua di tanti
altri gravi reati previsti dal vigente sistema processuale-penalistico
(2).
In epoca più recente, si è addirittura tentato
di incoraggiare la vastissima platea di questi incalliti evasori
fiscali con appositi incentivi finalizzata alla “emersione
del lavoro nero”, pur senza raggiungere nessuno degli
obiettivi programmati.
A voler leggere i risultati complessivamente raggiunti perderemmo
solo tempo, oltre che far aumentare un senso di sfiducia e
rassegnata impotenza fra tutti noi.
L’evasione fiscale, fra l’intero popolo delle
Partite IVA rimane altissimo; è la norma, haimé,
vedere il contante versato sui conti personali extracontabili,
mentre i soli bonifici e/o assegni alimentano i conti aziendali,
rappresentando, questi ultimi, e nella migliore delle ipotesi,
solo il 50% dell’intero fatturato. Un aumento della
pressione fiscale, avrebbe unicamente l’effetto di far
aumentare il numero degli evasori, ovvero di quegli imprenditori
che già oggi si sottraggono in tutto o in parte agli
oneri tributari. Ricordo le organizzazioni dedite al contrabbando
doganale di t.l.e (tabacchi lavorati esteri), che erano soliti
festeggiare per ogni “aumento” dell’imposta
sul circuito legale, ricevendo, come diretta conseguenza,
un significativo incremento dell’illecito mercato.
2
Ogni tanto, qualche rivista specializzata ci ricorda che la
pressione fiscale del nostro Paese è di poco al di
sopra della media europea (secondo questi esimi analisti,
solo la Svezia ci supererebbe di qualche punto percentuale).
Sono affermazioni queste, assolutamente prive di qualsivoglia
base logica, nel senso che bisognerebbe avere il coraggio
di dire che da noi, la pressione fiscale, è almeno
doppia rispetto alla media europea.
Ne spiego brevemente le ragioni. Alla voracità fiscale
dello Stato, dobbiamo aggiungere, forse al contrario di altri
Paesi, la pressione della Criminalità Organizzata (che
soprattutto in alcune aeree rappresenta un Antistato), una
Pubblica Amministrazione spesso inefficiente, una Rete infrastrutturale
viaria ed aerea da terzo mondo, una Sanità pubblica
approssimativa, una sicurezza nel suo complesso inadeguata.
Ancora oggi, apprendo che, a Reggio Calabria, una città
di oltre 200 mila abitanti, l’acqua corrente non è
potabile: la gente cucina con l’acqua minerale!!
Personalmente, non conosco le disfunzioni, pure possibili,
esistenti in Svezia, o comunque in altri Paesi dell’Unione
Europea, ma ho la presunzione di credere che non sono neanche
paragonabili alle nostre.
Se l’equazione è questa, credo che bisognerà
cambiare strada, possibilmente invertendo la tendenza degli
ultimi decenni che ha registrato un trend in crescita della
pressione fiscale complessiva.
Ridurre la pressione fiscale, ovvero le altissime aliquote
che oggi caratterizzano il nostro sistema fiscale non deve
rispondere solo ad una esigenza di moralità, visto
che la progressività dell’imposta rimarrebbe
inalterata, MA DEVE SERVIRE A RIDURRE L’INTERESSE DEL
SINGOLO AD EVADERE GLI OBBLIGHI TRIBUTARI.
Non è velleitario immaginare che, con un fisco più
modesto, si ridurrebbero gli “evasori totali e paratotali”,
determinando, paradossalmente, un aumento delle entrate tributarie.
In altri termini, la pressione fiscale và ridotta,
non solo e non tanto per restituire soldi alle famiglie (per
le quali si potrà agire con lo strumento della “Detrazione
fiscale”), come sento spesso in questi giorni di acceso
dibattito ad ogni livello, bensì per consentire allo
Stato di migliorare il Conto Economico, per non indossare,
come da consolidata abitudine, le vesti del “questuante”.
Bari, 30 ottobre 2004
(1)
“EVASIONE FISCALE: fra il dire ed il fare…c’è
di mezzo il diritto alla privacy”
(2)
“IL RICICLAGGIO DA EVASIONE FISCALE”
Si ringrazia Giovanni Falcone per la collaborazione.
giovannifalcone@excite.it
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