LA BANCA & LA FRODE
La prevenzione del rischio e la ricerca di ogni opportunità
di sviluppo, quali facce della stessa medaglia, rappresentano
in ogni Banca, l’essenza del loro agire, basandosi in
primo luogo, sulla fiducia e “conoscenza della clientela”.
Se ciò è indispensabile e può considerarsi
strategicamente funzionale per entità economiche medio
- piccole, diventa decisamente più complesso in presenza
di grandi Holding ove, la sola conoscenza della realtà
aziendale e degli stessi amministratori, potrebbe non essere
sufficiente. Pensiamo per esempio a Gruppi imprenditoriali
dell’industria o della grande distribuzione ove, molto
spesso, la sola denominazione può rappresentare elemento
di credibilità, tanto per la qualità del prodotto,
che per il know-how raggiunto e riconosciuto sul mercato globalizzato.
Una ulteriore e spesso decisiva influenza sulla valutazione
complessiva dell’azienda, viene ricavata dall’esame
delle Relazioni dei Collegi Sindacali di accompagnamento al
Conto Economico, dagli Audit interni, dai Comitati di Controllo
e, non ultimo dalle Società di Revisione che, contribuiscono
all’attribuzione di quel “grado di solvibilità”
che altro non è che il rispetto dei patti, comunemente
denominato “Rating”.
A questa valutazione complessiva, inoltre, molto più
efficacemente, ma soprattutto con maggiore tempismo, contribuisce
l’andamento del fatturato, l’eventuale crisi di
liquidità, una possibile ed eventuale disaffezione
della clientela che, determinandone un declassamento da parte
delle stesse Società di Rating, consente agli investitori
la migliore valutazione per ridurre il rischio di insolvenza
alla scadenza del prestito obbligazionario.
Soffermiamoci sull’attualità, facendo qualche
esempio. Con riferimento alla vicenda Cirio e Parmalat, due
colossi alimentari quotati in borsa apprezzati e conosciuti
a livello mondiale, non lasciavano sicuramente immaginare
all’investitore non professionale nessun rischio potenziale,
in primo luogo dal sentire comune, soprattutto per l’eccellente
qualità del prodotto commercializzato.
Addirittura, riferiscono le Banche coinvolte nella promozione
e collocazione dei titoli obbligazionari emessi dai due Gruppi
imprenditoriali, finanche le prestigiose Società di
Rating non lanciarono nessun segnale di allarme a conferma
della solidità patrimoniale.
Nella realtà, come tutti sappiamo, le cose sono andate
in modo decisamente diverso. Alla luce delle prime risultanze
investigative riferite dagli organi di stampa, si è
appreso che il problema si è determinato ed ampliato
a dismisura per decenni, per la fraudolenta gestione del management,
ai quali si attribuisce l’intera responsabilità
di comportamenti illeciti e poco trasparenti.
Le costanti, indebite e continue appropriazioni di ingentissime
risorse finanziarie operate negli anni dai vertici aziendali
(e questo a conferma che le aziende producevano utili, avvalorando
l’intuito del sentire comune), venivano sostituite con
ricavi fittizi, attraverso la doppia o addirittura tripla
fatturazione sulla rete commerciale. E’ come dire che
emetto tre fatture per lo stesso prodotto venduto, il quale,
pur essendo pagato giustamente una sola volta dal cliente,
in modo cartolare triplico i ricavi, costruendo un Bilancio
con liquidità finanziarie assolutamente false, al solo
scopo di guadagnare fiducia sui mercati e, per il tramite
del sistema bancario, riuscire a collocare i famosi “bond”,
raccogliendo ingenti risorse dagli ignari risparmiatori.
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Analogamente, non venivano annotate in contabilità
le “Note di credito” emesse dalle società
estere fornitrici del materiale utilizzato per il confezionamento
dei prodotti commercializzati (confezioni di cartoni per il
latte, confezioni di latta per il pomodoro etc.), comunemente
classificati sconti sugli acquisti. Gli stessi sconti non
contabilizzati (documentando pertanto il costo pieno), andavano
ad alimentare conti personali, spesso allocati in Paesi esteri
a bassa incidenza fiscale (c.d. Off shore).
Dobbiamo chiederci: oltre al Management, di chi altri è
la responsabilità per le lacune, insufficienze e quant’altro
palesate nella sfilza dei controlli? E’ mai possibile
che nessuno ha capito che i cc.dd. “Bilanci consolidati
di Gruppo” erano costruiti con lo scanner di comunissimi
Computers?
Un prima risposta, a mio avviso “onesta ed illuminante”,
la si può ricavare dal passaggio testuale contenuto
nella Relazione di rito per l’anno 2003, letta nelle
Aule Parlamentari dal Presidente della Commissione Nazionale
per le Società e la Borsa (CONSOB), ove fra l’altro
è detto:
“”I potenziali conflitti tra i diversi interessi
possono portare gli intermediari a incentivare collocamenti
obbligazionari da parte di società o gruppi nei confronti
dei quali non ritengono di incrementare la propria esposizione.””
Alla luce dei disastri finanziari vissuti, possiamo dire
subito e, forse con maggiore precisione, che:
• Il conflitto di interessi nel mondo bancario, non
è stato solo potenziale, bensì concreto e permanente;
• Il collocamento delle obbligazioni emesse sul mercato
mobiliare dalla Cirio, Parmalat, Giacomelli etc., non è
stato solo incentivato, ma anche promosso e sponsorizzato
nei confronti ed in danno dei piccoli risparmiatori, in genere
clienti delle stesse Banche; d’altronde, le medesime
obbligazioni, per le stesse ragioni scoperte successivamente,
non avrebbero certamente potuto trovare investitori istituzionali,
nazionali o esteri, in modo particolare nelle grandi Banche
d’affari;
• Le Banche, scegliendo il “prestito obbligazionario”
al “merito creditizio”, hanno di fatto rinunciato
alla verifica attenta e ponderata circa la veridicità
delle scritture contabili obbligatorie, primo fra tutte del
Bilancio di Esercizio, contribuendo, non sappiamo ancora quanto
passivamente, ad alimentare la dimensione dell’enorme
danno patrimoniale perpetrato in danno della collettività;
• Così facendo, hanno trasferito di fatto i rischi
dell’investimento obbligazionario sull’ignaro
risparmiatore, beneficiando, di converso, del duplice effetto
positivo ottenuto tanto dalle commissioni per il servizio
prestato (opera di collocazione del prodotto finanziario),
ovvero, quale obiettivo sicuramente più ambito, quello
di “rientrare” dalle diverse e già ragguardevoli
esposizioni.
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Pertanto, volendo leggere ed interpretare i fatti e le circostanze
che vanno emergendo, possiamo dire che le Banche, non solo
non hanno voluto “incrementare la propria esposizione”
(come riduttivamente, a mio sommesso e modesto parere si è
detto nella prefata Relazione), ma sono andate ben oltre,
nel perseguire e realizzare l’intento di rientrare da
esposizioni, per impieghi di non facile recupero (anche per
la elevata concentrazione del rischio creditizio), afferenti
a somme rilevanti che andavano ristrutturate o addirittura
passate a sofferenza. In altri termini, con la “Operazione
Bond”, le stesse Banche, sono rientrate da esposizioni
già consolidate, per le quali, molto verosimilmente,
già sussisteva, in concreto, una sufficiente e reciproca
consapevolezza d’insolvenza.
Data la gravità dei disastri, sarà necessario
distinguere tra “Vittime & Complici”, compito
questo da rimettere alle definitive valutazioni degli Organi
Giudiziari, ma soprattutto sarà importante recuperare
quel senso di valori condivisi ed il ritrovo di un’etica
che, se mai è veramente esistita, questa è l’occasione
perché la si debba e la si possa percepire anche da
quel “sentire comune”.
Bari 23 luglio 2004
giovannifalcone@excite.it
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