Il FALSO IN BILANCIO e le “Fatturazioni Infragruppo”.
Traggo spunto da una recente vicenda di cronaca economico
– giudiziaria, per commentare, ancora una volta, un
nuovo scandalo finanziario.
Mi riferisco al “crak Giacomelli”, omonimo Gruppo
di negozi sportivi nato nel 1992 e approdato in Borsa nel
2001, da alcuni definito come una sorta di Parmalat bis, non
certamente per dimensioni, bensì per creatività
imprenditoriale.
Le ipotesi di reato formulate in capo agli amministratori,
già tutti in stato di custodia cautelare, vanno dall’associazione
a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta, alle
false comunicazioni sociali, false fatturazioni e truffa.
Se l’obiettivo è stato comune in ambedue i disastri
finanziari, cioè quello di fare apparire una situazione
florida, adeguata a garantire la solvibilità delle
obbligazioni emesse e sottoscritte da migliaia di piccoli
risparmiatori, il metodo è stato leggermente diverso.
Con la Parmalat, abbiamo assistito ad un incremento dell’attivo
patrimoniale attraverso la costituzione di un fittizio “fondo
liquidità” per svariati miliardi di dollari alle
Isole Cayman (denominato il forziere della multinazionale
del latte parmense), spesso alimentato con doppie o triple
fatturazioni sulla medesima rete di vendita (triplicando in
tal modo gli incassi), nel crak Giacomelli, invece, secondo
le prime risultanze investigative che leggiamo dalla stampa,
sono state documentate ed esposte in bilancio, fin dal 1997,
“fatturazioni infragruppo”.
Tale espediente contabile, viene comunemente utilizzato per
trasferire “imponibile” da una società
all’altra appartenenti alla stessa Holding, con il fine
ultimo di azzerare o comunque ridurre in misura significativa
l’onere da corrispondere all’Erario. In altri
termini, la società in perdita, fattura la prestazione
o la cessione di beni a quella in attivo, consentendo a quest’ultima
di annotare il relativo costo (solo cartolare, e quindi con
l’annotazione di fatture false), con il risultato finale
di ridurre l’imponibile da sottoporre a tassazione.
La società in perdita, nella peggiore delle ipotesi,
chiuderà il bilancio in pareggio, senza versare alcuna
imposta.
Nella vicenda “Giacomelli”, descritta dalle cronache
giudiziarie, abbiamo visto invece che le “false fatturazioni”,
erano emesse nei confronti di società dello stesso
Gruppo imprenditoriale, o al massimo verso qualche società
compiacente (amministrata da ex Consiglieri o consulenti della
stessa Giacomelli), con una media di circa 10 miliardi all’anno
delle vecchie lire a decorrere dal 1997, con la finalità
di documentare incassi inesistenti, gonfiando i bilanci con
utili fittizi. E’ come dire che, in assenza di clienti
veri, la società madre (Capogruppo), certifica la vendita
di prodotti oggetto della propria attività commerciale
– articoli sportivi – ai figli (società
controllate), documentando incassi solo cartolari.
Si dirà, con il senno del poi, è tutto più
facile; mi sia consentito di dissentire.
Mi spiego meglio. Un Gruppo imprenditoriale, operante in
un qualsiasi settore economico che contabilizza l’80%
del suo fatturato a società “controllate”,
dovrebbe indurre ad una approfondita verifica da parte degli
Organi di Controllo istituzionali, soprattutto in concomitanza
della quotazione sul mercato borsistico . In casi del genere,
potrà valere il detto: “..pensare a male è
peccato, ma spesso si indovina..”.
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Una situazione del genere starebbe a significare che l’azienda
non riesce a stare sul mercato, ovvero non riesce a trovare
clienti estranei a società dello stesso Gruppo (per
assenza di qualità nella merce prodotta o dei servizi
forniti, in parole povere non è competitiva). Diventa
un artifizio che, nel migliore dei casi, prima o poi è
destinato a crollare, come è effettivamente crollato,
provocando danni notevoli ai risparmiatori, alla credibilità
del mercato e delle stesse Istituzioni..
A differenza del disastro Parmalat, in questa vicenda, a
ben guardare, le cose sono andate decisamente meglio in quanto,
a scandalo scoppiato nel giugno 2003, i Sindaci chiesero al
Tribunale di Rimini la rimozione degli amministratori per
il sospetto di “gravi irregolarità”.
Non è frequente vedere all’opera il Collegio
Sindacale in armonia ai poteri conferiti dalla legge Draghi,
quando lo fa, la previsione del disastro subisce una decisa
accelerazione.
Se così è, in attesa della legge sulla “Tutela
del risparmio” in discussione nelle Aule parlamentari
in questi giorni, “W il Collegio Sindacale”!!.
Bari 27 giugno 2004
giovannifalcone@excite.it
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