Danno biologico
iure hereditatis se sussiste lasso di tempo fra lesione
e morte
( Cassazione , sez. III civile, sentenza
23.02.2004 n° 3549 )
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Nel caso in cui intercorra un apprezzabile lasso di
tempo tra le lesioni colpose e la morte causata dalle stesse
è configurabile un danno biologico risarcibile subito
dal danneggiato, da liquidarsi in relazione alla effettiva
menomazione della integrità psicofisica da lui patita
per il periodo di tempo indicato e il diritto del danneggiato
a conseguire il risarcimento è trasmissibile agli
eredi che potranno agire in giudizio nei confronti del danneggiante
iure hereditatis.
E' quanto ribadito dalla Cassazione con la sentenza
n. 3549 depositata il 23 febbraio 2004.
Corte di cassazione
Sezione III civile
Sentenza 23 febbraio 2004, n. 3549
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata l'11 maggio 1991, D'Auder Carlo,
Tenace Nina e D'Auder Maria Grazia, convenivano davanti
al Tribunale di Como la Sai s.p.a. e La Rocca Luigi, assumendo
che il 16 maggio 1987 nel centro abitato di Como si era
verificato un incidente stradale nel quale erano rimasti
coinvolti Francesco D'Auder, rispettivamente figlio e fratello
degli attori, conducente una moto Yamaha e la Ford Fiesta
condotta dal La Rocca, che, mentre percorreva la via Giussani,
improvvisamente svoltava a sinistra, omettendo di dare la
precedenza alla moto del D'Auder proveniente dalla parte
opposta, che il D'Auder riportava lesioni gravissime e veniva
ricoverato in ospedale dove moriva dopo 29 giorni; che la
responsabilità esclusiva dell'incidente era da ascriversi
al La Rocca che aveva tagliato la strada al motociclista;
che essi eredi avevano diritto al risarcimento del danno
biologico iure hereditatis, a quello iure proprio ed al
danno morale.
Si costituivano il La Rocca e la Sai, che chiedevano il
rigetto della domanda.
Il Tribunale di Como, con sentenza depositata il 6 agosto
1996, ritenuta la colpa concorrente del La Rocca e del D'Auder,
condannava i convenuti in solido al pagamento in favore
degli attori della somma di lire 225 milioni, oltre interessi.
Proponevano appello gli attori. Si costituiva la sola Sai.
La Corte di appello di Milano, con sentenza depositata
il 17 settembre 1999, condannava in solido i convenuti a
pagare agli attori l'ulteriore somma di lire 30.500.000,
oltre rivalutazione ed interessi legali sulle somme annualmente
rivalutate.
Riteneva la Corte di merito che doveva essere aumentata
la liquidazione del danno morale in lire 250 milioni per
i genitori e lire 70 milioni per la sorella della vittima,
con riferimento alla data della decisione di primo grado.
Confermava il rigetto della domanda di danno biologico iure
proprio nonché del danno patrimoniale degli attori,
perché non provati. Confermava il rigetto della domanda
di risarcimento del danno biologico iure hereditatis, poiché
esso va escluso allorché la morte segua immediatamente
o a breve distanza di tempo dall'evento lesivo e tanto si
era verificato nella fattispecie, essendosi l'incidente
verificato il 16 maggio 1987 ed il decesso il 14 giugno
1987.
Avverso questa sentenza hanno proposto ricorso per cassazione
gli attori, che hanno presentato memoria.
Resiste con controricorso la sola Sai s.p.a.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente va rigettata l'eccezione di inammissibilità
del ricorso, sollevata dalla resistente, perché la
procura rilasciata a margine dello stesso non conterrebbe
alcun riferimento al giudizio di cassazione.
Infatti, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte,
ai fini della specialità della procura, non rileva
che la formula di essa non faccia specifico riferimento
ad un determinato processo o ad una fase (in particolare,
al giudizio di legittimità), conseguendone che qualora
sia apposta in calce o a margine del ricorso, venendo a
costituire un "corpus" inscindibile con esso ed
escludendosi perciò ogni dubbio sulla volontà
della parte di proporre quel mezzo d'impugnazione, la specialità
è garantita dal tenore delle espressioni usate nella
redazione dell'atto (Cass., S.U., 12625/1998).
2. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano
la violazione e falsa applicazione degli artt. 1227, 2054
e 2055 c.c., ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., nonché
l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su
di un punto decisivo della controversia, a norma dell'art.
360, n. 5, c.p.c.
Assumono i ricorrenti che la dinamica dell'incidente, giusto
quanto risultava dai rilievi e dal rapporto della Polizia
Giudiziaria e dalla stessa dichiarazione di La Rocca Luigi,
comportava che andasse addebitata a questi l'esclusiva responsabilità
del sinistro, in quanto il D'Auder procedeva sulla sua corsia
e si era visto tagliare la strada dall'auto antagonista,
mentre non vi era prova che egli viaggiasse a velocità
elevata.
2.1. Ritiene questa Corte che il motivo è infondato
e che lo stesso vada rigettato.
Infatti, come ripetutamente affermato da questa Corte,
nel caso di scontro tra veicoli, l'accertamento in concreto
di responsabilità di uno dei conducenti non comporta
il superamento della presunzione di colpa concorrente sancito
dall'art. 2054 c.c., essendo a tal fine necessario accertare
in pari tempo che l'altro conducente si sia pienamente uniformato
alle norme sulla circolazione e a quelle di comune prudenza
ed abbia fatto tutto il possibile per evitare l'incidente.
Conseguentemente, l'infrazione, anche grave, commessa da
uno dei conducenti non dispensa il giudice dal verificare
anche il comportamento dell'altro conducente al fine di
stabilire se, in rapporto alla situazione di fatto accertata,
sussista un concorso di colpa nella determinazione dell'evento
dannoso (Cass., 5671/2000; 10156/1994).
2.2. Nella fattispecie il giudice di merito ha ritenuto,
peraltro, che il concorso di colpa a carico del D'Auder
fosse stato accertato in concreto, in quanto il D'Auder
non mantenne una condotta di guida esente da colpa, poiché,
ove avesse proceduto alla velocità moderata che le
condizioni di luogo imponevano (trattavasi del centro abitato
di Como), avrebbe fatto in tempo a rallentare e fermare
la moto prima dell'impatto e, comunque, le conseguenze del
sinistro non sarebbero state quelle gravissime (mortali)
che si sono verificate. L'eccessiva velocità del
D'Auder, secondo il giudice di appello, rimaneva dimostrata
dall'urto violentissimo inferto alla fiancata dell'auto
Ford.
2.3. Osserva a questo punto questa Corte che la ricostruzione
della dinamica di un sinistro stradale, costituendo un accertamento
fattuale, rientra nei poteri esclusivi del giudice di merito
ed è insindacabile in sede di legittimità,
se non per vizio di motivazione.
Nella fattispecie i ricorrenti hanno lamentato detto vizio
motivazionale, rilevando che dall'ubicazione dei danni (fiancata
dell'auto), dall'entità degli stessi e dalla mancanza
di tracce di frenata doveva desumersi che il taglio della
strada da parte dell'auto del La Rocca fu repentino, mentre
non vi sono elementi da cui desumere l'alta velocità
del motociclista.
2.4. Osserva preliminarmente questa Corte che la deduzione
di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con
ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità
non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda
processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola
facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza
giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni
svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva,
il compito di individuare le fonti del proprio convincimento,
di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità
e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze
del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare
la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così,
liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di
prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla
legge).
Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto
il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà,
della medesima, può legittimamente dirsi sussistente
solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia
rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente)
esame di punti decisivi della controversia, prospettato
dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista
insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente
adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento
logico giuridico posto a base della decisione (Cass., 4916/2000).
2.5. Nella fattispecie, quindi, non è affetta da
vizio motivazionale, censurabile in sede di sindacato di
legittimità, l'impugnata sentenza, che sulla base
della gravità dei danni conseguenti all'incidente,
quali accertati dal rapporto della Polizia Giudiziaria,
ha ritenuto che la velocità tenuta dal motociclista
fosse eccessiva in relazione alla circostanze dei luoghi,
mentre la censura si risolve in una richiesta di una nuova
valutazione di dette risultanze da parte di questo giudice
di legittimità.
3. Con il secondo, articolato, motivo di ricorso i ricorrenti
lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt.
32, 2043, 2056 c.c.
Assumono i ricorrenti che la Corte di merito erratamente
ha ritenuto di respingere la domanda di risarcimento del
danno iure proprio (provato da una certificazione sanitaria
di forma depressiva reattiva), del danno iure hereditatis
(pur essendo sopravvissuto il D'Auder Francesco 29 giorni
al sinistro) nonché del danno patrimoniale (pur essendo
rimasto accertato che Francesco D'Auder, giovane di ventitre
anni, alla data del sinistro svolgeva un'attività
lavorativa e che presumibilmente avrebbe contribuito al
mantenimento della famiglia d'origine allorché i
genitori fossero andati in pensione).
5.1. Ritiene questa Corte che il motivo è solo in
parte fondato (relativamente al danno biologico iure hereditatis),
mentre nel resto è infondato e va rigettato.
Non vi è dubbio in linea di principio che possa
sussistere in favore dei prossimi congiunti di un soggetto
ucciso un danno alla salute, cd. iure proprio, di questi
congiunti.
Anche questo danno, infatti, come il danno morale dei prossimi
congiunti della vittima (cfr. Cass., S.U., 9556/2002), si
pone come conseguenza immediata e diretta del fatto illecito
posto in essere dall'agente.
È necessario, però, anche per questo danno
biologico, che sia accertata in concreto una compromissione
dell'integrità psico-fisica del soggetto, che si
assume danneggiato (Cass., 3592/1997; 10629/1998).
5.2. Nella fattispecie il giudice di merito non ha escluso
la risarcibilità del danno biologico iure proprio
dei prossimi congiunti, ma ha solo ritenuto che nel caso
concreto mancasse la prova che sussistesse detta lesione
della salute nei ricorrenti.
La Corte territoriale ha infatti preso in esame la certificazione
rilasciata dalla dr.ssa Nocerino il 28 novembre 1996, secondo
cui i genitori di Francesco D'Auder sarebbero stati in cura
presso di lei per due anni, in quanto affetti da una forma
depressiva reattiva, ed ha ritenuto che tale certificazione
aveva un contenuto generico, non era di uno specialista
in psichiatria e non era idonea a provare il rapporto di
causalità.
Trattasi di una valutazione di merito, come tale riservata
al giudice di appello, relativamente allo spessore probatorio
ed al contenuto di una certificazione sanitaria, incensurabile
in questa sede di legittimità.
6.1. È fondata invece la censura relativamente alla
mancata corresponsione del risarcimento del danno iure hereditatis.
Sul punto la Corte di merito osserva che il danno biologico
presuppone che il soggetto sopravviva al fatto lesivo, ma
che nella specie, essendo Francesco D'Auder stato ricoverato
in ospedale con prognosi riservata per politraumatismo il
16 maggio 1987 ed essendo ivi deceduto il 14 giugno 1987
per choc settico in politraumatizzato, data la breve distanza
di tempo, non erano configurabili un danno biologico e la
trasmissione agli eredi del relativo diritto al risarcimento.
Va osservato preliminarmente che, come questa Corte ha
più volte rilevato in tema di danno biologico da
morte (richiesto dagli eredi), ma il discorso è identico
per la richiesta di danno da perdita del diritto alla vita,
detto anche danno tanatologico, la lesione dell'integrità
fisica con esito letale, intervenuto immediatamente o a
breve distanza di tempo dall'evento lesivo, non è
configurabile quale danno biologico, dal momento che la
morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto
alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della
vita, la cui perdita, per il definitivo venir meno del soggetto,
non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio
della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento,
trasferibile agli eredi, non rilevando in contrario la mancanza
di tutela privatistica del diritto alla vita (peraltro protetto
con lo strumento della sanzione penale), attesa la funzione
non sanzionatoria ma di reintegrazione e riparazione di
effettivi pregiudizi svolta dal risarcimento del danno,
e la conseguente impossibilità che, con riguardo
alla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona
del suo titolare e da questi fruibile solo in natura, esso
operi quando tale persona abbia cessato di esistere (Cass.,
2134/2000; 1704/1997; 491/1999; 8970/1998; Corte cost.,
372/1994).
6.2. Inoltre, attraverso questa via, tenuto conto che il
soggetto che perde la vita non è in grado di acquistare
un diritto risarcitorio, perché finché è
in vita non vi è perdita e quando è morto
da una parte non è titolare di alcun diritto e dall'altra
non è in grado di acquistarne, si finirebbe per assegnare
alla tutela dell'art. 2043 c.c. una funzione solo sanzionatrice
(o di pena privata), mentre pacificamente la sua funzione
è quella risarcitoria.
6.3. Né si può ritenere, come sostenuto da
parte della dottrina, che il predetto orientamento si pone
in contrasto con l'art. 2 Cost., con la Convenzione europea
sui diritti dell'Uomo del 4 novembre 1950, con la Dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948, con
il Patto internazionale sui diritti civili e politici, del
16 dicembre 1966, tutti ratificati dall'Italia, con apposite
leggi.
Infatti, a parte il rilievo che detto orientamento è
stato fatto proprio dalla Corte costituzionale con sentenza
372/1994, va osservato che il sistema risarcitorio non è
l'unico mezzo di tutela e che nel nostro ordinamento il
diritto alla vita è ampiamente tutelato in sede penale
(ex multis, artt. 575 e 589 c.p.) e la sanzione penale è
la massima forma di reazione dell'ordinamento ad un illecito.
Non esistono dunque nel nostro ordinamento né lacune
né contrasti con l'ordinamento comunitario; e ciò
a prescindere dalla risolutiva osservazione che il giudice
nazionale può disapplicare norme interne in contrasto
con l'ordinamento comunitario, ma non può "creare
in via interpretativa" norme attributive di diritti,
se questi non siano previsti da fonti comunitarie ad efficacia
orizzontale.
7.1. Nel caso, invece, in cui intercorra un apprezzabile
lasso di tempo tra le lesioni colpose e la morte causata
dalle stesse è configurabile un danno biologico risarcibile
subito dal danneggiato, da liquidarsi in relazione alla
effettiva menomazione della integrità psicofisica
da lui patita per il periodo di tempo indicato e il diritto
del danneggiato a conseguire il risarcimento è trasmissibile
agli eredi che potranno agire in giudizio nei confronti
del danneggiante iure hereditatis (Cass., 1131/1999; 1131/1999;
9470/1997).
7.2. Assumere, come mostrano di ritenere i ricorrenti,
che il risarcimento del danno biologico, cui consegua la
morte, è dovuto per intero (come se il soggetto avesse
raggiunto la durata di vita conforme alle speranze) nel
caso in cui il decesso è conseguenza delle lesioni,
non è corretto perché esclude uno degli elementi
costitutivi del danno risarcibile: e cioè la durata
di esso.
Poiché, secondo i più recenti orientamenti,
anche il danno biologico è una perdita (del bene
salute), non può dar luogo allo stesso risultato
risarcitorio risentire di questa perdita del bene salute
nella misura del 100% per alcuni giorni/mesi o per l'intera
durata della vita media.
7.3. Se la morte è stata causata dalle lesioni,
l'unico danno biologico risarcibile è quello correlato
dall'inabilità temporanea, in quanto per definizione
non è in questo caso concepibile un danno biologico
da invalidità permanente.
Infatti, secondo i principi medico-legali, a qualsiasi
lesione dell'integrità psicofisica consegue sempre
un periodo di invalidità temporanea, alla quale può
conseguire talora un'invalidità permanente, Per l'esattezza
l'invalidità permanente si considera insorta allorché,
dopo che la malattia ha compiuto il suo decorso, l'individuo
non sia riuscito a riacquistare la sua completa validità.
Il consolidarsi di postumi permanenti può quindi
mancare in due casi: o quando, cessata la malattia, questa
risulti guarita senza reliquati; ovvero quando la malattia
si risolva con esito letale. La nozione medico-legale di
"invalidità permanente" presuppone, dunque,
che la malattia sia cessata e che l'organismo abbia riacquistato
il suo equilibrio, magari alterato, ma stabile.
Si intende, pertanto, come nell'ipotesi di morte causata
dalle lesione, non sia configurabile alcuna invalidità
permanente in senso medico-legale: la malattia, infatti,
non si risolve con esiti permanenti, ma determina la morte
dell'individuo.
Ne consegue che quando la morte è causata dalle
lesioni, dopo un apprezzabile lasso di tempo, il danneggiato
acquisisce (e quindi trasferisce agli eredi) soltanto il
diritto al risarcimento del danno biologico da inabilità
temporanea e per il tempo di permanenza in vita.
8.1. A questo punto si pongono due questioni: anzitutto
quella dell'individuazione del concetto di apprezzabilità
del tempo e poi quella della liquidazione di tale danno.
Va subito premesso che entrambe le questioni nell'ambito
del caso concreto sono rimesse alla valutazione del giudice
di merito con riferimento alla peculiarità della
fattispecie.
Purtuttavia è possibile indicare dei principi, che,
senza incidere sui poteri rimessi all'esclusiva valutazione
del giudice di merito, costituiscono l'applicazione all'ipotesi
della morte non immediata della vittima dei più generali
principi espressi da questa Corte in tema di risarcimento
del danno biologico, come appresso si vedrà.
8.2. Quanto alla questione del concetto di «apprezzabilità
del tempo intercorso tra il fatto illecito generatore della
menomazione psicofisica ed il decesso», va anzitutto
osservato che molte trattazioni e rassegne di giurisprudenza,
sul tema "danno biologico da morte", sono solite
classificare l'orientamento della giurisprudenza di legittimità,
appena esposto, come "tesi compromissoria", tra
la tesi dell'intrasferibilità del danno biologico
da morte e quello della trasmissibilità.
In realtà non è mai stata formulata alcuna
tesi compromissoria sul tema della intrasmissibilità
agli eredi del danno biologico nel caso di morte della vittima,
rimanendo fermo che nel caso suddetto non sussista danno
biologico della vittima.
Ben diversa è l'ipotesi della sopravvivenza quodam
tempore della vittima.
In questo caso il danno biologico è trasmissibile
non perché la vittima sia sopravvissuta (il che non
avrebbe senso), ma perché ha subito un danno giuridicamente
apprezzabile, il cui diritto al risarcimento è perciò
entrato nel patrimonio della vittima e da questa trasmesso
agli eredi.
Affermare, quindi, la risarcibilità del danno biologico
iure hereditatis soltanto quando la vittima sopravvive per
un apprezzabile lasso di tempo nient'altro significa che
ammettere la trasmissibilità del diritto al risarcimento
del danno biologico iure hereditatis soltanto quando il
danno esiste: ed esso in caso di morte immediata (o quasi)
non esiste, mentre esiste nel caso di sopravvivenza anche
molto limitata nel tempo, in quanto la vittima del fatto
patisce quella perdita di tipo biologico, che costituisce
il presupposto del risarcimento del danno alla salute.
8.3. Quindi, per quanto per comodità di esposizione
si parli di "apprezzabilità del tempo",
in effetti si tratta di "apprezzabilità del
danno" alla salute, prima dell'esito finale infausto.
Il tempo, infatti, è, per definizione, in ogni caso
apprezzabile: il danno alla salute, inteso come perdita,
può invece non essere apprezzabile se il tempo intercorrente
tra lo stato di piena validità e quello della morte
è molto ristretto.
In modo pienamente condivisibile, questa Corte ha rilevato
che la trasmissibilità agli eredi del diritto di
credito risarcitorio per danno biologico va escluso quando
la morte segua l'evento lesivo a distanza di tempo talmente
ravvicinata da rendere inapprezzabile l'incisione del bene
salute (Cass., 1704/1997).
Ne consegue che, se il danno biologico della vittima si
protrae anche solo per qualche giorno, salvo ovviamente
le peculiarità del caso concreto rimesse sempre alla
esclusiva valutazione del giudice di merito, in linea di
massima esso è apprezzabile, in quanto secondo l'orientamento
corrente in giurisprudenza ed in dottrina, è ritenuto
apprezzabile anche il danno biologico temporaneo di pochi
giorni (ed addirittura di un giorno) e non si vede perché,
se la vittima del sinistro deceda, invece di guarire, detto
danno biologico non dovrebbe essere apprezzabile.
8.4. Infatti il diritto al risarcimento del danno biologico
per quei pochi giorni (o per quel solo giorno) di vita è
già maturato limitatamente agli stessi (o allo stesso)
e non vi è ragione perché l'evento letale
successivo dovrebbe avere l'effetto "retroattivo"
di annullarlo, una volta ritenuto come sopra si è
detto - che detto danno biologico, per così dire
terminale, altro non è che un danno biologico assoluto
temporaneo (tra la data del sinistro e quello della morte).
Va, quindi condiviso l'arresto di questa Corte che ha ritenuto
che sussistesse l'ipotesi del danno iure hereditatis in
favore dei congiunti di una bambina deceduta dopo cinque
giorni dal sinistro (Cass., 3728/2002).
9.1. Portata la questione in termini di apprezzabilità
del danno biologico terminale e ritenuto che esso abbia
la natura di un danno biologico temporaneo da inabilità
temporanea assoluta, si pone la seconda questione: quella
relativa alla liquidazione dello stesso.
Anche questa va risolta sulla base dei principi generali
in tema di liquidazione del danno biologico e quindi la
liquidazione va operata tenendo presenti le caratteristiche
peculiari di questo pregiudizio, costituite dal fatto che
si tratta di un danno alla salute che, se pure è
temporaneo, è massimo nella sua entità ed
intensità.
Di tanto il giudice di merito dovrà necessariamente
tener conto, sia se applica il criterio di liquidazione
equitativa, cd. "puro", sia se applica i criteri
di liquidazione tabellare o a punto, poiché, come
questa Corte ha più volte ribadito, la legittimità
dell'utilizzazione di detti ultimi sistemi liquidatori,
essendo fondata sempre sul potere di liquidazione equitativa
del giudice, passa necessariamente attraverso la cd. "personalizzazione"
degli stessi, costituita dall'adeguamento al caso concreto
(Cass., 5134/1998; 11532/1998; 9835/1996; 5005/1996; 4236/1997).
La peculiarità del "danno biologico terminale"
è che esso è di tale entità ed intensità
da condurre a morte un soggetto in un limitato, sia pure
apprezzabile, lasso di tempo.
9.2. Qui non si vuole far rientrare - per così dire
dalla finestra quello che è stato cacciato dalla
porta (il danno tanatologico).
L'evento morte non rileva di per sé ai fini del
risarcimento, per tutte le ragioni suddette, mentre rilevano
esclusivamente due fattori: l'entità della perdita
subita (per effetto della lesione al bene salute) ed il
tempo di durata di detta perdita.
Mentre il fattore tempo è circoscritto necessariamente
al periodo tra l'evento lesivo e la morte successiva conseguente,
il fattore della lesione del bene salute va valutato nella
sua espressione massima, per entità ed intensità,
avendo essa avuto come esito la morte.
È "lapalissiano" che la morte (id est:
la perdita della vita) è fuori dal danno biologico,
poiché il danno alla salute presuppone pur sempre
un soggetto in vita, ma è altrettanto "lapalissiano"
che nessun danno alla salute è più grave,
per entità ed intensità, di quello che, trovando
causa nelle lesioni che esitano nella morte, temporalmente
la precede.
In questo caso, infatti, il danno alla salute raggiunge
quantitativamente la misura del 100%, come nel caso dell'inabilità
temporanea assoluta, cui consegue la guarigione, ovvero
una stabilizzazione dei postumi, sia pure nella stessa entità,
in quanto, sotto il profilo dell'entità, il limite
massimo ovviamente non può essere superiore alla
misura del 100%. Ciò che fa la differenza è
che il danno biologico terminale è più intenso
perché l'aggressione subita dalla salute dell'individuo
incide anche sulla possibilità di essa di recuperare
(in tutto o in parte) le funzionalità perdute o quanto
meno di stabilizzarsi sulla perdita funzionale già
subita.
In altri termini nel danno biologico terminale anche questa
capacità recuperatoria o, quanto meno stabilizzatrice,
della salute risulta irreversibilmente compromessa. La salute
danneggiata non solo non recupera (cioè non "migliora")
né si stabilizza, ma degrada verso la morte: quest'ultimo
evento rimane fuori dal danno alla salute, per i motivi
sopra detti, ma non la "discesa" verso di esso,
poiché durante detto periodo il soggetto leso era
ancora in vita.
Anche se si utilizza la nozione giuridica (e non medico-legale)
di danno alla salute, che non si limita a postulare in via
logica la vita futura, ma si manifesta ed esiste solo all'interno
di quella vita, immersa in essa in termini di minore qualità
esistenziale, anche la perdita di quest'ultima estrema attitudine
della salute rende più intenso quel minus esistenziale
che accompagna la residua vita della vittima, anche se è
chiaro che detto danno cessi con il decesso.
9.3. In effetti il limitare la liquidazione del danno biologico
terminale alla mera applicazione dei valori liquidatori
tabellari a punti per ogni giorno di invalidità,
comporta la violazione del principio sopra detto in tema
di necessaria "personalizzazione" di detti criteri,
conformandoli alla peculiarità del caso concreto;
e nella fattispecie la peculiarità consiste nel fatto
che la lesione alla salute non solo è stata massima,
ma anche così intensa da esitare nella morte.
Così operando non si crea una nuova categoria di
danno alla persona, posta "a cavallo" tra il danno
tanatologico (da escludersi) ed il danno biologico, ma,
sempre rimanendo in quest'ultimo, e cioè con riferimento
al solo periodo di tempo in cui il soggetto leso è
rimasto in vita, occorre provvedere alla "personalizzazione"
dei valori monetari espressi dalle "tabelle" per
l'inabilità assoluta, aumentandoli secondo il suo
prudente apprezzamento equitativo, con riferimento alla
peculiarità del caso concreto di un danno alla salute,
che fu anche così intenso e grave da condurre il
soggetto verso la morte.
10. Ne consegue che nella fattispecie la sentenza della
Corte di appello di Milano, che ha rigettato l'appello in
merito al rigetto da parte del Tribunale della domanda di
risarcimento del danno biologico iure hereditatis, avanzata
dagli attori, sul rilievo che, essendo breve il tempo intercorso
(i 29 giorni della degenza ospedaliera) tra la data dell'evento
e quello della morte del giovane Francesco D'Auder detto
risarcimento non era dovuto, va cassata non avendo la Corte
di merito valutato se durante tale periodo vi era stato
in ogni caso un danno biologico apprezzabile della vittima.
La sentenza impugnata va pertanto cassata sul punto e rimessa
al giudice del rinvio affinché valuti ed accerti,
alla luce dei suesposti principi e nell'esercizio dei poteri
di merito ad essa riservati, la consistenza concreta del
danno biologico subito dal giovane Francesco D'Auder nei
29 giorni terminali della sua vita ed il cui risarcimento
spetta agli eredi.
11.1. Infondata è invece la censura in ordine al
mancato riconoscimento del danno patrimoniale.
Non vi è dubbio, in linea di principio, che ai prossimi
congiunti di un soggetto, deceduto in conseguenza di un
fatto illecito addebitabile ad un terzo, competa il risarcimento
del danno anche patrimoniale, per la perdita di un'entrata
che ragionevolmente si sarebbe potuta presumere come duraturo
vantaggio economico proveniente dall'attività lavorativa
del congiunto (Cass., 6672/1987).
Occorre però pur sempre che detto danno economico
sia accertato e che quindi sia provato che il soggetto deceduto
già provvedeva a dette elargizioni economiche in
favore dei soggetti che chiedono il risarcimento del danno
ovvero che presumibilmente, ma pur sempre sulla base di
elementi oggettivi, sarebbero state effettuate in futuro
(cfr. Cass., 8970/1998).
11.2. Sennonché nella fattispecie il giudice di
merito ha accertato che il D'Auder Francesco, per quanto
già lavorasse, non versava alla famiglia una somma
superiore a quella occorrente al suo mantenimento, e che
non vi erano elementi per ritenere che tanto sarebbe potuto
verificarsi in futuro.
Le censure dei ricorrenti sul punto si risolvono in mere
supposizioni, che, oltre a non essere suffragate da riscontri
oggettivi prospettati al giudice di merito, non sono vagliabili
da questo giudice di legittimità.
Pertanto va rigettato il primo motivo di ricorso ed accolto
il secondo per quanto di ragione. L'impugnata sentenza va
cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche
per le spese del giudizio di Cassazione, ad altra sezione
della Corte di appello di Milano, che si uniformerà
ai principi di diritto sopra esposti.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo di ricorso ed accoglie, per quanto
di ragione, il secondo motivo. Cassa, in relazione al motivo
accolto, l'impugnata sentenza, con rinvio, anche per le
spese del giudizio di Cassazione, ad altra sezione della
Corte di appello di Milano.
Sentenze danno esistenziale:
-Pretura di Roma, 2 dicembre 1997
[responsabilitą aggravata di cui art. 96 c.p.c]
-Tribunale di Milano, 21 ottobre
1999 [immissioni]
-Corte di Cassazione, sez. I civile,
7 giugno 2000, n. 7713 [mancata somministrazione mezzi
sussistenza]
-Tribunale di Venezia, 27 settembre
2000 [inquinamento acustico]
-Tribunale Penale di Locri, sez. dist.
di Siderno, 6 ottobre 2000 [nascite indesiderate]
-Giudice di pace di Bologna, 8
febbraio 2001 [contravvenzioni illegittime]
-Giudice di Pace di Avellino,
6 maggio 2001 [disservizio uffici pubblici]
-Tribunale di Palermo, 6 giugno 2001 [incidenti stradali]
-Tribunale di Pistoia, 29 giugno
2001 [mancato conferimento dell'incarico]
-Corte di Cassazione, 3 luglio 2001
n. 9009 [mancato riposo per il settimo giorno]
-Tribunale di Treviso, sez. II,
7 agosto 2001 [rottura vincolo familiare]
-Tribunale di Pordenone, 11 gennaio
2002 [trasfusioni di sangue]
-Tribunale di Roma, 7 marzo 2002,
sez. XIII [incidenti stradali]
-Tribunale di Torre Annunziata, 20
marzo 2002 [incidenti stradali ed interruzione di gravidanza]
-Tribunale di Roma, sez. XI,
17 aprile 2002 [morte animale d'affezione]
-Tribunale di Roma, 20 maggio
2002, sez. XIII [diritti della personalitą]
-Corte di Cassazione, sez. Unite,
1 luglio 2002, n. 9556 [parto: estensione danno ai congiunti]
-Giudice di pace di Milano, Sez.
IV, 23 luglio 2002 [attese in aeroporto]
-Tribunale di Genova, sez. I,
29 novembre 2002, n. 4266 [responsabilitą professionale]
-Tribunale di Venezia, 14 gennaio
2003, sez. III [incidenti stradali]
-Tribunale di Ravenna, Sez. Lav.,
4 febbraio 2003 [infortunio sul lavoro]
-Tribunale di Genova, Sez. II Pen.,
7 febbraio 2003 [ingiusta detenzione]
-Corte di Appello di Milano, sez. II, 14 febbraio 2003 [immissioni]
-Tribunale di Roma, Sez. XII,
3 marzo 2003 [mancata esperienza formativa soggiorno
di studi]
-Tribunale di Venezia, 7 aprile
2003 [furto di opere d'arte]
-Tribunale di Crema, 23 aprile
2003 [responsabilitą professionale di avvocato]
-Corte dei Conti, Sez. Riunite,
n. 10/2003/QM del 23 aprile 2003 [danno all'immagine
della P.A.]
-Tribunale di Torino, Sez. Dist. Chivasso, 21 maggio 2003
[maltrattamenti animali]
-Corte di Cassazione, 31 maggio
2003, n. 8827 [danno non patrimoniale]
-Corte di Cassazione, 31 maggio
2003, n. 8828 [danno non patrimoniale]
-Corte Costituzionale, 11 luglio
2003 [danno esistenziale]
La redazione di megghy.com
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